29 dicembre 2016

Carmen (14) - L'offerta di sé

Scritto da Marisa

Al sarcasmo di Carmen, ai suoi dubbi sull'amore incondizionato di Don José, lui risponde con quella che è una delle dichiarazioni d'amore tra le più accorate e sconvolgenti di tutto il repertorio lirico, forse la resa più assoluta alla passione, riconoscendo l'impotenza della ragione a fronteggiarla. Le sue parole sono struggenti ed accorate e la musica si allarga in una delle pagine più belle e significative dell'opera, nel tentativo di trovare le note giuste per esprimere l'indicibile, il conflitto tra ragione e passione quando tutta l'anima è già stata presa e soggiogata dal tormento amoroso e dalla sua estasi. La romanza inizia con il riferimento al fiore scagliato su di lui come una fucilata, vero e proprio “colpo di fulmine”, piccolo fiore profumato da lui conservato per tutto il tempo della prigionia e simbolo vivente del potere della donna da cui proveniva. Tutto il conflitto interiore, se respingere o arrendersi alla passione, viene infatti vissuto attraverso il fiore, se inebriarsi totalmente del suo profumo o respingerlo, maledicendo il momento in cui lo aveva raccolto. Ma si può non raccogliere quello che è partito da un dio? Perché Kama stesso, il dio indiano dell'amore, lo ricordiamo, usa un fiore come punta delle sue frecce. Respingere l'effetto del fiore sarebbe, come riconosce Don José stesso, un atto blasfemo.

Mi mettevo a maledirti,
E detestarti, a dirmi:
Perché il destino ha voluto
Metterla sul mio cammino?
Poi mi dicevo blasfemo,
E non sentivo in me,
Non sentivo
Che una sola brama, una speranza sola:
Rivederti, oh Carmen, sì, rivederti!
Conosciamo l'esistenza dei filtri d'amore, di pratiche magiche finalizzate a indurre la passione amorosa per sottomettere gli uomini riottosi al potere di Eros, e da sempre queste credenze ci hanno affascinato e spaventato. È magia nera o un benevolo aiuto per aprire cuori induriti alla dolcezza dell'amore? La risposta non è mai univoca e tutto dipende dalla personalità di base della “vittima”. Parlare di incantesimo è un modo per riconoscere lo scacco della volontà; c'è qualcosa che irrompe, una forza più grande dell'Io razionale, con cui finalmente dobbiamo fare i conti.

Nel “Tristano e Isotta” di Wagner troviamo una situazione apparentemente analoga, ma anche profondamente diversa. C'è un filtro d'amore che agisce inesorabilmente, inducendo una passione irresistibile, ma lì tutti e due i protagonisti bevono lo stesso filtro e quindi siamo di fronte ad una perfetta reciprocità, mentre in “Carmen” è solo l'uomo che subisce l'arcano potere. La situazione è asimmetrica e il potere molto sbilanciato. Tristano e Isotta si erano già incontrati in circostanze insolite e il loro cuore aveva avuto il presagio dell'amore a cui la loro ragione non voleva cedere, per motivi diversi, ma ambedue sono persone forti e la lotta per non cedere alla passione cade contemporaneamente, gettandosi uno nelle braccia dell'altro in un reciproco abbandono e fiducia totale. Il loro diventa, insieme a quello di Giulietta e Romeo, che però rimane confinato all'adolescenza, l'archetipo dell'”amour-passion”, l'impossibile sogno di realizzazione dell'amore perfetto, che segna la tradizione romantica di tutto l'occidente, preso a modello da Denis de Rougemont nel famoso saggio “L'amore e l'occidente”. Il filtro non fa che costringerli ad ammettere quello che segretamente già vivevano e che cercavano di nascondere dietro l'orgoglio e un presunto risentimento e persino odio, a conferma che la passione può prendere la strada dell'amore o dell'odio, a seconda dei momenti e delle circostanze. Sono infatti le due facce della stessa medaglia.

Ma Tristano è un “cavaliere perfetto”, allenato sia al valore militare che alla disciplinata obbedienza al suo re, il campione di tutta la cavalleria, e Isotta una principessa destinata a diventare regina, abituata sia al comando che a una ferrea autodisciplina. La loro lotta interiore come anche la loro resa sono perfettamente sincrone, come alla pari sono le forti personalità. Non così è per Don José: la sua resa incondizionata è espressione di una debolezza estrema, una asimmetria quasi ontologica di fronte alla forza e al potere di seduzione di Carmen, una situazione già inizialmente sconvolgente e drammatica.
Perché t’era bastato apparire,
Gettar su me un solo sguardo,
Per impadronirti di tutto il mio essere...
Wagner e Bizet tracciano due mondi amorosi che giustamente Nietzsche ha riconosciuto agli antipodi, anche musicalmente, innamorandosi prima dell'uno e poi dell'altro: della nordica e brumosa sublimità del "Tristano" di Wagner nella sua esaltata giovinezza, e della mediterranea, accesa e più terrena passionalità della "Carmen" di Bizet nella tormentata e drammatica maturità.

Don José sta trasferendo la sua tendenza alla dipendenza tutta su Carmen e, dopo un breve tentativo per sottrarsi a quello che lui sente essere una “stregoneria”, si arrende totalmente. Il carattere di José, che abbiamo già iniziato a delineare nei quadri precedenti, è ora in piena luce. Il suo porsi in disparte, il cercare di defilarsi quando escono le sigaraie con tutta la loro carica erotica, si rivela per quello che è: una maschera, un meccanismo di difesa che può reggere di fronte alla maggior parte delle ragazze, che ostentatamente non guarda occupandosi dei suoi lavoretti, ma che si frantuma davanti all'assalto diretto di Carmen, la meno inibita e la più sfrontata. Dietro questa maschera di virile superiorità c'è una grande fragilità, e anche l'amore per Micaëla è solo uno degli espedienti per proteggersi dal nuovo, dall'imprevisto che la vita può metterci davanti rovesciando le certezze e le sicurezze illusoriamente coltivate.

José è veramente posseduto da un grande “complesso materno”, quella condizione di apparente stabilità poggiata sull'attaccamento alle origini, alle abitudini e al mondo affettivo che sembra promettere tranquillità e pace, a patto che si rimanga entro i suoi confini. La caratteristica più importante di tale situazione psicologica è la “dipendenza”, un bisogno di rimanere “attaccati”, di non perdere di vista la persona su cui cade tale attaccamento. L'amore, per la persona dipendente, è solo una falsa possibilità di liberazione e di esperienza di un nuovo modo di essere perché viene usato, se pur inconsciamente, per spostare la dipendenza dalle persone e dalle abitudini dell'infanzia su altri. Non si arriva mai a conoscere la persona che si ama perché il vero scopo, quello indicibile e segreto, non è l'interesse per l'altro in quanto persona, ma il desiderio di depositare sé stessi, di consegnare la propria anima, di affidarsi come il bimbo si affida totalmente nelle braccia della madre. Si rimane attaccati irresistibilmente come il ferro attratto dalla calamita o la falena dalla lampada.

Don José non conosce e non conoscerà mai Carmen come donna autonoma, non la capirà mai neanche quando crede di essere con lei e di seguirla, e cercherà sempre e solo di starle “attaccato”, in una vicinanza che non permette né la conoscenza (per quella ci vuole una certa distanza) né l'estasi simbiotica (per quella ci vuole reciprocità). Il suo canto d'amore è già intriso di sofferenza e pathos. E mentre sta cercando di convincere la donna adorata del suo amore, lo vediamo già disperato. Soffre ora e soffrirà ancora...

Clicca qui per il testo di "La fleur que tu m’avais jetée".

JOSÉ
(Il va chercher sous sa veste d’uniforme la fleur de cassie que Carmen lui a jetée au premier acte.)
La fleur que tu m’avais jetée,
dans ma prison m’était restée.
Flétrie et sèche, cette fleur
gardait toujours sa douce odeur;
et pendant des heures entières,
sur mes yeux, fermant mes paupières,
de cette odeur je m’enivrais
et dans la nuit je te voyais!
Je me prenais à te maudire,
à te détester, à me dire:
pourquoi faut-il que le destin
l’ait mise là sur mon chemin?
Puis je m’accusais de blasphème,
et je ne sentais en moi-même,
je ne sentais qu’un seul désir,
un seul désir, un seul espoir:
te revoir, ô Carmen, oui, te revoir!
Car tu n’avais eu qu’à paraître,
qu’à jeter un regard sur moi,
pour t’emparer de tout mon être,
ô ma Carmen!
et j’étais une chose à toi!
Carmen, je t’aime!

JOSÉ
(Cerca sotto la sua uniforme il fiore di gaggia che Carmen gli aveva gettato nel primo atto.)
Il fiore che tu mi avevi gettato
è rimasto con me in prigione.
Appassito e secco, questo fiore
ha conservato sempre il suo dolce profumo;
e per ore intere,
chiudendo le palpebre,
mi inebriavo di questo profumo
e durante la notte ti vedevo!
Mi mettevo a maledirti,
a odiarti, a dire a me stesso:
“Perché il destino
l’ha voluta mettere sulla mia strada?”
Poi mi accusavo di blasfemia,
e non sentivo altro in me stesso,
che un solo desiderio,
un solo desiderio, una sola speranza:
rivederti, Carmen, sì, rivederti!
Perché ti è bastato apparire
il tempo di gettare uno sguardo su di me,
per impossessarti di tutto il mio essere,
o mia Carmen!
E sono stato tuo!
Carmen, ti amo!



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