26 gennaio 2015

21. Marcia e aria: "Se per voi le care io torno"

Scritto da Christian

Avevamo lasciato Clarice mentre fingeva di recarsi in città per incontrare il suo gemello Lucindo e invitarlo nella villa del Conte. La ritroviamo ora in abiti militari, ovvero nei panni del "capitano Lucindo". Anche la marchesina, infatti, ha deciso di ricorrere a un travestimento per mettere alla prova i veri sentimenti del Conte, rendendogli dunque pan per focaccia. Accompagnata da una vivace marcia soldatesca, in un'aria scoppiettante e ricchissima di infiorettature, Clarice/Lucindo esprime la propria felicità per essere tornato in patria, frammista a quella per aver potuto rivedere finalmente la sorella, all'insegna del motto "Marte trionfi, e Amor".

L'aria patriottica di Clarice "Se per voi le care io torno" [...] anticipa il "Pensa alla Patria" dell'Italiana in Algeri. Il giovane musicista rivela così, per la prima volta, la sua sensibilità alla causa nazionale, in linea sia con l'ideologia liberale dominante nel napoleonico regno d'Italia, sia con le simpatie giacobine paterne.
(da "Storia dell'opera italiana", di Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa)
A osservare il tutto, c'è il quartetto composto da Macrobio, Pacuvio, Fulvia e Aspasia, con le due donne che si lasciano catturare dal fascino dell'uniforme e non perdono tempo ad abbandonare i rispettivi "cavalier serventi" per andare a corteggiare il nuovo venuto, ignorando naturalmente la sua vera identità. Il giornalista e il poeta non possono che commentare amaramente: "Il marzial aspetto / val più assai che un articolo e un sonetto".


Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

FABRIZIO
Eccolo.

FULVIA
Chi?

FABRIZIO
Lucindo.

BARONESSA
Il capitano?

PACUVIO
Il gemello germano?...

FABRIZIO
Sì, della marchesina.

MACROBIO
Io volentieri,
qualunque militar, l'avrei veduto
nel caso mio.

FULVIA
Le somiglianze rare
fra la sorella e lui
di veder son curiosa.

BARONESSA
Se a lei somiglia non avrà gran cosa.

FABRIZIO
(Che pettegole!)
Io vado per ordine del Conte ad incontrarlo.
(parte)

FULVIA
Che fai, Pacuvio?

PACUVIO
Io parlo con Demetrio Evergete.

BARONESSA (a Pacuvio)
Zitto: s'avanza il capitan.

FULVIA (al medesimo)
Tacete.

BARONESSA
Tiriamoci in disparte.

MACROBIO
Oggi d'esser mi sembra un altro Marte.
(si ritirano senza partir dalla scena)

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
(ai soldati)
Se l'itale contrade,
che in fanciullesca etade abbandonai,
preme il mio piè;
se vidi il ciel natio;
se dell'amata suora
sulle stanche pupille io tersi il pianto,
valorosi compagni, è vostro il vanto.

Se per voi le care io torno
patrie sponde a vagheggiar,
grato a voi di sì bel giorno
il mio cor saprò serbar.

CORO DI SOLDATI
L'esempio, il tuo periglio
a noi servi di sprone;
né bomba, né cannone
potevaci arrestar.

CLARICE
Viva il desio di gloria,
che all'alme amar non vieta.
Ciascuno con me ripeta:
«Marte trionfi, e Amor».

CORO
Ciascun di noi ripeta:
«Marte trionfi, e Amor».

CLARICE
(Sotto l'intrepida
viril sembianza
sento risorgere
la mia speranza:
fra i dolci palpiti
s'infiamma il cor.)

CORO
Qual volto amabile,
vivace e nobile!
Che ardir magnanimo
gl'infiamma il cor!

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

BARONESSA
Che ne dite, Macrobio? io non ci trovo
questa gran somiglianza.

MACROBIO
Io son d'avviso,
che non v'è differenza in quanto al viso.

BARONESSA
Diamine! Siete cieco? Il capitano
è assai di lei più bello.

FULVIA (a Pacuvio)
Sembra che non le sia neppur fratello.

[PACUVIO
Eppur...

FULVIA
Non v'è confronto. Baronessa,
è ver, che non somigliano?

BARONESSA
Lo stesso dico anch'io.

FULVIA (a Pacuvio)
Lo sentite?

BARONESSA (a Macrobio)
Vedete, se ho ragion?

MACROBIO
Signora, sì.

FULVIA (a Pacuvio)
Siete convinto ancor?]

PACUVIO
Sarà così.

BARONESSA
Voglio a lui presentarmi
prima che torni il Conte.
(a Macrobio)
Con permesso.

MACROBIO
Si accomodi.
(la Baronessa entra in casa del Conte)

FULVIA (osservando la Baronessa)
(Ho capito.)
Addio, Pacuvio.

PACUVIO
Si serva.

FULVIA
(Anche a me piace il militare;
né mi lascio da un'altra soverchiare.)
(entra anch'essa in casa del Conte)

PACUVIO
Le nostre dame, amico,
ci hanno qui piantato.

MACROBIO
Il marziale aspetto
val più assai che un articolo e un sonetto.
(partono)




Sonia Prina


Marie-Ange Todorovich


Julia Hamari


Cecilia Bartoli


Agata Bienkowska


Jennifer Larmore

Martine Dupuy


In realtà anche la marcia e l'aria di Clarice nei panni di Lucindo, come molti altri brani di questo secondo atto, venne riciclata più o meno integralmente da Rossini (probabilmente per mancanza di tempo) da un pezzo analogo della sua precedente opera "L'equivoco stravagante", che aveva scritto appositamente per la sua musa di allora, la contralto Marietta Marcolini, prima interprete anche della "Pietra".
La Marcolini eccelleva nelle parti en travesti, e, nell’Equivoco stravagante, Rossini le dedica una pagina di parodia dell’opera seria. La protagonista dell’opera, Ernestina, è destinata in sposa a un uomo che non ama, il volgare Buralicchio: con la complicità dei servi, fa credere al promesso sposo ch’ella in realtà non sia una donna ma un castrato vestito da donna sin dalla più tenera età. Per ripicca, però, Buralicchio fa arrestare il supposto castrato, poiché, con questo stratagemma, ha disertato la leva militare. Ernestina viene però fatta scappare dall’amato Ermanno, che la fa uscire di carcere vestendola da soldato: l’aria “Se per te lieta torno” [...] mette in scena un’Ernestina, in veste militare, che pensa a ritornare tra le braccia dell’amato Ermanno, mentre il Coro la sprona a prodezze militari.
(Martino Pinali)


Ann Hallenberg
da "L'equivoco stravagante"

23 gennaio 2015

20. Terzetto: "Prima fra voi coll'armi"

Scritto da Christian

Il Conte Asdrubale è pronto per un altro dei suoi scherzi: con la complicità del cavalier Giocondo, questa volta intende prendersi gioco di Macrobio, che aveva promesso alla Baronessa Aspasia di battersi a duello con lui. Sapendo che il pavido giornalista non ne avrà mai il coraggio ("Io far duelli?"), tanto il Conte quanto Giocondo fingono di volerlo sfidare contemporaneamente, litigandosi addirittura il diritto di affrontarlo per primo. In un divertente terzetto, Macrobio propone loro una soluzione: dapprima dovranno battersi fra loro; lui poi duellerà "con quel che resta ucciso"!

Boutade a parte, il Conte e Giocondo sembrano accettare la proposta, con gran sollievo del giornalista che spera che si feriscano a vicenda per evitare così di battersi. Ma quasi subito i due finti contendenti depongono le armi, accordandosi tra loro: tocca a Giocondo, in quanto ospite del Conte, affrontare per primo Macrobio. Questi, terrorizzato, si domanda se "un mezzo non vi sia / d'aggiustar questa faccenda"; e infine, pur di evitare il duello, rinuncia al proprio orgoglio e accetta di dichiararsi non solo sconfitto, ma pure "un poltrone", "un uom venale", "un cicisbeo ridicolo", e "il fior degli ignoranti".

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

MACROBIO
Io far duelli? io, che a' miei giorni mai
né pistola adoprai, né spada o stocco
per onor di nessuno? io, che una sola
volta, né mi sovvien se bene o male,
mi son battuto a pugni
per onor del giornale?
Io?...

GIOCONDO (in aria fiera)
Macrobio.

MACROBIO
Signor.

GIOCONDO (gli dà una pistola)
Prendi.

MACROBIO (incomincia a sgomentarsi)
Obbligato.
Che n'ho da far?

GIOCONDO
Sopra di me spararla quando ti toccherà,
come io quest'altra sopra te sparerò.
(gli mostra un'altra pistola)

MACROBIO
(Lupus in fabula.)
Ma non veggo il perché...

GIOCONDO
Perch'hai tu sparso
che a Pacuvio io cercai la vita in dono.

MACROBIO
L'ho detto senza crederlo.

GIOCONDO
Peggio! Su via...

MACROBIO
Se vi calmate, io sempre
dirò bene di voi sul mio giornale.

GIOCONDO
Potentissimi dèi! Sarebbe questa
una ragion più forte per ammazzarti subito.
Alle corte!

[MACROBIO
Vengo... aspettate... (Il Conte è fuor di casa...
altro scampo non v'è... tempo si prenda...)
(Macrobio va pensando, e frattanto Giocondo fa dei cenni a qualcuno che si suppone dentro la scena)

GIOCONDO (a Macrobio)
Terminiamo sì o no, questa faccenda?

MACROBIO
Lo volete saper?... Da uom d'onore
qual mi dichiaro e sono...

GIOCONDO
Salvo errore.

MACROBIO
Io non posso accettar, perché un impegno
egual mi sono assunto col Conte, e l'ho sfidato.

GIOCONDO (osservandolo)
Eccolo appunto.

MACROBIO
Maledetta fortuna!]

CONTE
Olà, Macrobio.
Giacché tu di sfidarmi non hai coraggio, io te disfido.

GIOCONDO (a Macrobio fingendo meraviglia)
Come? Dunque...

MACROBIO (sommamente imbarazzato)
Dirò...

GIOCONDO
Conte, scusate; il primo son io.

CONTE
Non cedo: ad ogni costo ei deve battersi meco.

GIOCONDO
A' miei diritti invano, ch'io rinunzi, sperate.

MACROBIO
(Oh bella! a gara fanno per ammazzarmi.)
(al Conte)
Una parola...

CONTE (voltandogli le spalle)
Io non desisto.

MACROBIO (a Giocondo)
Udite...

GIOCONDO (egualmente)
Non serve.

MACROBIO
Io comporrò la vostra lite.

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Prima fra voi coll'armi
il punto sia deciso:
con quel che resta ucciso,
io poi mi batterò.

GIOCONDO (al Conte accennando Macrobio)
Quando quel cor malnato
dal sen gli avrò diviso,
fra noi vedrem se ucciso
a torto io l'abbia o no.

CONTE (a Giocondo accennando Macrobio)
Quando l'avrò mandato
a passeggiar l'Eliso,
fra noi vedrem se ucciso
a torto io l'abbia o no.

CONTE (risoluto a Macrobio)
Andiam.

MACROBIO (a Giocondo per ischernirsi dell'altro)
Voi che ne dite?

GIOCONDO (risoluto a Macrobio)
Su via.

MACROBIO (al Conte come sopra)
Voi lo soffrite?

CONTE (prendendolo per un braccio)
Orsù...

MACROBIO (al Conte accennando Giocondo)
Quest'altro freme.

GIOCONDO (prendendolo egualmente per un braccio)
Non più...

MACROBIO (a Giocondo accennando il Conte)
Quest'altro grida.

CONTE E GIOCONDO (l'uno all'altro dopo avere alquanto pensato)
Ebben; l'acciar decida
chi primo ha da pugnar.

MACROBIO (tirandosi da parte)
Comincio a respirar.

(ad un cenno del Conte si avanzano i due domestici, uno verso il Conte medesimo, l'altro verso Giocondo, presentando loro le rispettive spade)

CONTE E GIOCONDO (con le spade medesime)
Ecco i soliti saluti.
(Del duello inaspettato
si consola il maledetto;
e non sa che per diletto
lo faremo ancor tremar.)

MACROBIO
(Son quei ferri molto acuti;
far potriano un bell'effetto:
sol due colpi in mezzo al petto,
e finisco di tremar.)

CONTE (dopo essersi messi in positura, ed incrocicchiate le spade il Conte volge la punta a terra)
Con permesso...

GIOCONDO (egualmente)
Io fo lo stesso...

MACROBIO (titubante)
Che vuol dir? Che nuova c'è?

CONTE
Il padrone della casa
ceder deve al forestiero:
(a Giocondo accennando Macrobio)
e con lui pugnar primiero
tocca a voi, non tocca a me.

MACROBIO
Non è vero, non è vero;
io protesto, per mia fé.

GIOCONDO
Quest'è vero, quest'è vero;
senza dubbio tocca a me.

MACROBIO (al Conte in aria supplichevole)
Ma che un mezzo non vi sia
d'aggiustar questa faccenda?

CONTE (fingendo di pensare)
Per esempio... si potria...

GIOCONDO (invitando Macrobio)
Presto, a noi; che più pensar?

MACROBIO (a Giocondo)
Via, lasciatelo pensar.

CONTE (al medesimo)
Quando il forte a noi si arrenda,
si potria capitolar.

GIOCONDO (fingendo di rifletterci)
Capitolar?

MACROBIO (applaudendo al Conte con sommo trasporto)
Bravissimo!

GIOCONDO
Per me son contentissimo
d'usar facilità.

CONTE
In termine brevissimo
l'affar si aggiusterà.

MACROBIO
Ripiego arcibellissimo!
Di meglio non si dà.

CONTE (a Giocondo accennando Macrobio)
Per prima condizione
fissiam ch'egli è un poltrone.

MACROBIO
Si accorda.

GIOCONDO
Un uom venale.

MACROBIO
Si accorda; non c'è male.

CONTE
Un cicisbeo ridicolo.

MACROBIO
Si accorda il terzo articolo.

GIOCONDO
Il fior degli ignoranti.

MACROBIO (offeso)
Adagio...

CONTE E GIOCONDO (con forza)
Avanti!

MACROBIO
Distinguo: in versi, o in prosa?

CONTE E GIOCONDO
S'intende in ogni cosa.

MACROBIO
Eppur...

CONTE E GIOCONDO (minacciando)
Che dir vorresti?

MACROBIO
Che articoli sì onesti
non posso ricusar.

CONTE E GIOCONDO
Gli articoli son questi;
non v'è da replicar.
(il Conte e Giocondo rendono le spade ai rispettivi domestici)

CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
Fra tante disfide
la piazza è già resa.
Giammai non si vide
più nobile impresa;
d'accordo noi siamo;
cantiamo, balliamo:
la gioia sul viso
ritorni a brillar.



Joan Martin-Royo (Macrobio), François Lis (Conte), José Manuel Zapata (Giocondo)


Pietro Spagnoli (Macrobio), Marco Vinco (Conte), Raul Giménez (Giocondo)


Claudio Desderi (Macrobio), Justino Diaz (Conte), Ugo Benelli (Giocondo)

20 gennaio 2015

19. Aria: "Pubblico fu l'oltraggio"

Scritto da Christian

Pacuvio aveva mentito a Donna Fulvia, assicurandole di essersi battuto a duello con Giocondo per vendicare il suo onore ferito, e aveva chiesto alla donna di non parlare a nessuno della sua “vittoria” per rispetto dell'amico sconfitto. Naturalmente, invece, Fulvia non ha saputo resistere e ha spifferato tutto alla Baronessa Aspasia, dalla quale la notizia è arrivata a Macrobio, che minaccia di stamparla sul suo giornale. Pacuvio è ora preoccupato delle conseguenze, e se ne lamenta con Fulvia. Ma la donna si giustifica: a cosa serve vendicare il proprio onore se nessuno lo può sapere?

L'arietta "Pubblico fu l'oltraggio" è l'unico brano solista concesso dal libretto a una delle due soprano (Aspasia, con cui Fulvia canta spesso all'unisono, è infatti presente soltanto in numeri d'insieme).

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

PACUVIO
Oh! madama, a proposito: io credea,
che un segreto affidatovi
non foste mai di tradir capace;
ora con vostra pace
vi dirò che ho sospetto ben fondato
che l'abbiate per gloria pubblicato.

FULVIA
Pubblicato?
Alla sola baronessa io l'ho detto in confidenza;
e s'ella in confidenza lo dicesse a Macrobio...
e in confidenza...

PACUVIO
...Macrobio lo stampasse sul giornale,
sarebbe confidenza generale.

FULVIA
Certo.

PACUVIO (smaniandosi)
Povero me! La mia parola...
(vale a dir la mia pelle)
l'amicizia, il decoro...

FULVIA
Che bagatelle.

Clicca qui per il testo del brano.

FULVIA
Pubblico fu l'oltraggio
sia pubblica la pena.
Chi m'insultò, più saggio
in avvenir sarà.
Ch'io castigai l'altero,
sia noto al mondo intero:
è la vendetta un sogno
quando nessun lo sa.



Laura Giordano


Patrizia Biccirè


Eugenia Enguita


Margherita Guglielmi


Anke Herrmann

Paola Cigna

17 gennaio 2015

18. Sonetto: "Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!"

Scritto da Christian

L'ira del Conte Asdrubale verso Giocondo e Clarice non è di lunga durata. Il cavaliere gli spiega infatti che si è trattato di un equivoco e che la Marchesa gli è sempre rimasta fedele, assumendo su di sé ogni colpa: e Asdrubale ("Il vostro affetto per lei m'era già noto, e la vostra virtù") si mostra pronto a dimenticare.

Subito dopo Clarice annuncia al Conte l'imminente arrivo del suo fratello gemello, Lucindo: creduto morto, in realtà è ancora vivo ed è un militare, accampato con la sua compagnia nella città vicina. Il Conte suggerisce alla Marchesa di invitare anche lui nella villa, ignaro che si tratta di un escamotage della donna per rendergli pan per focaccia e mettere alla prova i suoi sentimenti, come lui aveva fatto con lei.

Ma fra un recitativo e l'altro, nella parte centrale del secondo atto era prevista anche una sequenza satirica e assai particolare. La scena in questione, in cui Clarice recita un sonetto scritto da Giocondo, rappresenta un attacco di Romanelli contro i tanti maestri di musica da strapazzo (come il Petecchia qui idolatrato da Pacuvio) che si vantavano di essere gli eredi di Domenico Cimarosa, a quei tempi (era morto nel 1801, ossia undici anni prima) visto ancora come il massimo punto di riferimento dell'Italia musicale. Satirico e un po' macabro (con gli artistucoli ritratti come "pigmei" pronti a fare strage dei resti di Cimarosa), il sonetto non fu però mai messo in musica da Rossini. Anzi, l'intera scena non fa parte degli allestimenti tradizionali della "Pietra del paragone", e peraltro aveva un carattere transitorio sin dall'inizio (tanto che nell'introduzione del libretto si legge: "Il sonetto che cade nella scena X dell'atto II non si reciterà che nelle prime tre sere, dopo le quali si tralascerà eziandio tutta la medesima scena").




Clicca qui per il testo del recitativo fra Fulvia e Pacuvio.

[FULVIA
Io posso dir d'averla indovinata
restando in casa.

FABRIZIO
È stato veramente
un fiero temporal.

PACUVIO (a Fabrizio)
Corri, t'affretta.

FABRIZIO
Dove? che fu?

PACUVIO
Per asciugar gli scritti
sono entrato in cucina; ivi alla recita
d'una mia scena dolcebrusca il cuoco
è caduto in declivio.

FABRIZIO
La vuol dire in deliquio.

PACUVIO
Certo, è là delinquente in un cantone.

FABRIZIO
Sarà stata la puzza del carbone.
(partendo in fretta)]

PACUVIO
Ah! donna Fulvia, se non era il tempo,
avrei fatta una strage di selvaggiume:
(mettendo fuori di tasca un picciolissimo uccello morto)
altro perciò non posso esibirvi che questo
picciolo segno della mia bravura.

FULVIA (voltandogli le spalle e partendo)
Non so che farne.

PACUVIO
È morto di paura.


Clicca qui per il testo del recitativo fra il Conte e Giocondo.

CONTE
Di quanto poco fa Clarice e voi
a me diceste, io sono
persuaso abbastanza.

GIOCONDO
Ella è innocente:
né reo son io che di leggiera colpa,
se può colpa chiamarsi...

CONTE
Il vostro affetto per lei m'era già noto,
e la vostra virtù.

GIOCONDO
Ma quando mai risolverete?

CONTE
Il matrimonio è un passo,
un passo grande!

GIOCONDO
E non vi basta ancora...

CONTE
Risolverò: per ora
pensiamo a divertirci con Macrobio,
che sfidarmi dovea.

GIOCONDO
Come vi piace.

CONTE
Andiam.

GIOCONDO
(Che strana idea!)


Clicca qui per il testo del recitativo fra Clarice, il Conte e Giocondo.

CLARICE (ansante per la gioia, con una lettera dissigillata in mano)
Amici, oh! qual d'una sorella al cuore
soave annunzio inaspettato!
Udite: il Capitan Lucindo,
il mio caro Lucindo, il mio gemello...

CONTE (in aria di scherzo)
Dagli Elisi tornò?

CLARICE
Quegli ch'estinto
da ciascun si credea, vive; e son questi
dopo sett'anni di silenzio i suoi
preziosi caratteri.
(sorpresa degli altri due)

[CLARICE
(Perdona, ombra del mio german, se all'uopo io chiamo
de' miei disegni il nome tuo.)

CONTE
Ma dove si trattenne finor?

GIOCONDO
Perché non scrisse?

CONTE
Fu prigionier?

CLARICE
No 'l so: di tutto a voce
m'informerà. L'ottavo sole appena
sorgea di nostra età, quando il destino
ci separò; pur le sembianze ancora
io n'ho presenti.

CONTE
Eppoi specchiandovi...

GIOCONDO
Sibben, le avete in voi.

CONTE
S'egli, è ver, ch'eravate...

CLARICE
Certamente:
eravam somiglianti,
come due gocce d'acqua. Oh quante volte
la nostra buona madre
con le cangiate fanciullesche spoglie
le paterne pupille
tradì per giuoco! e un dolce error di nomi,
non già d'affetti, risuonò su i labbri
del comun padre!

CONTE
Io mi consolo.

GIOCONDO
A parte son de' vostri contenti.]

CLARICE (al Conte)
Se il permettete alla cittade io volo,
dove m'attende il mio german.

CONTE
Che venga ei stesso qui.

CLARICE
«Breve in Italia», ei scrive,
«sarà la mia dimora;
né voglio abbandonar la compagnia».

CONTE
Qui la conduca, e quanto vuol ci stia.

[CLARICE
Quest'è troppo.

CONTE
Che troppo? i militari io sempre amai.

CLARICE
Le vostre grazie in voce
dunque ad offrirgli andrò.

CONTE
Se ricusasse,
mi farebbe un affronto.]

CLARICE
(Già previsto io l'avea; tutto è già pronto.)


Clicca qui per la scena del sonetto.

PACUVIO (mostrando una lettera)
Nuova grande! è arrivato sin qui da ieri alla piazza
il maestro Petecchia, il celeberrimo...

CONTE
Credete voi che molti siano in oggi
i maestri di vaglia?

PACUVIO
Più di cento
saran senz'altro, e tutti bravi,
e tutti conosciuti da me.

CLARICE (in aria di derisione)
Compreso ancora
il maestro Petecchia.

GIOCONDO
Certo, ossia febbre putrida.

CONTE (al cavalier Giocondo)
In acconcio qui cadrebbe, a me sembra,
quel tal vostro sonetto, in cui fingete,
se non m'inganno, d'aver fatto un sogno,
recitatelo in grazia.

GIOCONDO
In grazia dispensatemi.

CLARICE
Via, cavalier.

GIOCONDO
Non mi sovvien... scusatemi.

CLARICE
Finiamola. Un mio furto
confesserò, cui tenne man Fabrizio.

GIOCONDO (turbandosi)
Come? il sonetto?...

CLARICE
Io l'ebbi, e il so a memoria.

CONTE
Dunque...

CLARICE
Sarà mia gloria
far cosa grata al Conte.

GIOCONDO (a Clarice)
Ah! no, vi prego...

CONTE (a Giocondo)
Anzi a vostro dispetto.

PACUVIO
(Quante caricature!)

CLARICE
Ecco il sonetto.


Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!
la fredda salma sull'adriaco suolo:
i gran maestri, onde l'Ausonia è chiara,
cerchio a quella facean d'omaggio e duolo;

quando piombò sulla funerea bara
non so qual di pigmei musico stuolo:
squarciarne i membri, e depredarli a gara
fu per essi un sol voto, un punto solo.

Non rimanea che il capo: insidiosa
vidi una man, che d'afferrarlo ardia;
ma il capo si levò, mirabil cosa!

e l'aurea bocca, ove del canto in pria
sedean le grazie, mormorò sdegnosa:
«Canaglia, indietro; che la testa è mia».


CLARICE
Che ne dite Pacuvio?

PACUVIO (con aria d'importanza)
Non c'è male.

GIOCONDO (a Pacuvio con caricatura)
Grazie alla sua bontà.

CONTE (al medesimo)
Questo sonetto
proprio di fronte attacca
quei vostri cento e più.

PACUVIO
(Non vale un'acca.)

14 gennaio 2015

17. Quintetto: "Spera, se vuoi, ma taci"

Scritto da Christian

La tanto evocata Clarice raggiunge infine il cavalier Giocondo, che le professa ancora una volta il proprio amore. Mossa a pietà, la Marchesa gli promette che un giorno, se mai il suo affetto per il Conte Asdrubale dovesse cessare, ricambierà. Mentre i due sono intenti in questa conversazione, si avvicinano proprio il Conte, Macrobio e la Baronessa Aspasia, reduci a loro volta dal temporale che li aveva dispersi per la foresta. Il giornalista non si lascia passare l'occasione per "aizzare" il Conte contro Giocondo e Clarice. E Asdrubale non può far altro che confermare a sé stesso i propri dubbi sulla fedeltà delle donne ("Femmina è sempre femmina", "Le donne io so pesar").

Il quintetto (che Rossini, anche in questo caso, ha musicalmente ripreso da "L'equivoco stravagante", riscrivendo però la partitura e modificando il tempo, l'orchestrazione e le cadenze) si vivacizza quando il Conte si rivela e, in preda alla delusione, prende a male parole Clarice ("Donna di sensi equivoci / piena d'astuzie e cabale"). Macrobio gongola ("Il fatto sul giornale / io stampo per mia fé"), così come Aspasia. Si aggiunge il coro dei restanti cacciatori, e la scena si conclude con un concertato degno di un finale d'atto ("Men tremendo che tempesta / questo colpo a me non par"), ricco di brio e di vivacità.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

CLARICE (chiamandolo)
Ehi... Giocondo... Giocondo...

GIOCONDO (con sorpresa)
Oh!... Sola? E dove lasciaste il Conte?

CLARICE
Non sì tosto il cielo tornò seren,
ch'ei s'inoltrò nel bosco con alcuni de' suoi,
di due villani lasciando a me la scorta:
io nel vedervi li congedai.
(alludendo al temporale)
Ma che paura!

GIOCONDO (con qualche caricatura)
(Il Conte l'avrà temprata.)
Io sì, Clarice, io privo d'ogni conforto,
l'austro frema, o spiri il zefiro soave...

CLARICE
E torni sempre te stesso a tormentar,
né puoi scordarti?...

GIOCONDO (interrompendola con trasporto)
Io scordarmi di te?

CLARICE
Se pace brami...

GIOCONDO (egualmente)
Io pace? e come? a farmi guerra eterna
tre nemici ho nel sen: la tua fortuna,
l'amor mio, l'amistà. [Quella involarti;
questa tradir non lice; e Amor frattanto
pretende invan della vittoria il vanto.]

CLARICE
Alla fortuna rinunziar non fora
per generoso cor difficil opra:
ma rinunziar, Giocondo,
tu all'amistà non devi,
io non posso all'amor.

GIOCONDO (con molta passione)
Né un raggio almeno di remota speranza...

CLARICE
Invan.

[GIOCONDO
Del Conte il non mai stanco dubitar...

CLARICE
Deh! lascia ch'io mi lusinghi.]

GIOCONDO
Il tempo cangia talor gli umani affetti.

[CLARICE
È vero; non so negarlo.]

GIOCONDO
E tu potresti un giorno
riacquistar la libertà primiera.

CLARICE
(Mi fa pietà.)
Dunque ti calma, e spera.

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
Spera, se vuoi, ma taci:
io ti prometto amore;
seppur da' lacci il core
un giorno io scioglierò.

GIOCONDO
Ai dolci accenti tuoi
dove mi sia, non so.

(intanto comparisce Macrobio e chiama il Conte ch'egli vede da lontano. Da un'altra parte sovraggiunge la Baronessa)

BARONESSA (ad alta voce)
Macro...

MACROBIO (alla Baronessa)
Ma zitto! Bestia!
(al Conte, ironicamente)
Dite? Colei che fa?
La prima fra le vedove,
che vanti fedeltà.

CONTE (alla Baronessa ed a Macrobio senza manifestarsi agli altri due)
Bravissimi! bravissimi!
Femmina è sempre femmina:
amoreggiar lasciamoli
con tutta libertà.

BARONESSA
L'affar diventa serio:
ci ho gusto in verità.

GIOCONDO (a Clarice)
Mi promettete amore?

MACROBIO (al Conte sempre nella medesima aria)
Amore!

CONTE
Poverino!

CLARICE (a Giocondo)
Consulterò il mio core.

MACROBIO (come sopra)
Il core!

CONTE (mostrando disinvoltura)
Va benino.
Che faccia quel che vuole:
le donne io so pesar.

MACROBIO
(Il capo assai gli duole,
e no 'l vorria mostrar.)

GIOCONDO (a Clarice)
Per me comincia il sole
quest'oggi a scintillar.

CLARICE (a Giocondo)
Son semplici parole
per farti almen sperar.

BARONESSA
(Ma queste non son fole,
son fatti da mutar.)

CONTE (a Clarice con forza, avanzandosi e scoprendosi)
Donna di sensi equivoci,
piena d'astuzie e cabale,
ch'io sono a torto incredulo,
potrai lagnarti ancor?

CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
Qual d'improvviso fulmine
insolito fragor!

CORO (cacciatori che si avanzano, accennando Clarice e Giocondo mortificati)
In mezzo al temporale
la caccia è andata male:
ma il Conte a due merlotti
qui poi la caccia diè.

MACROBIO
Il fatto sul giornale
io stampo per mia fé.

CLARICE (ai cacciatori)
Come? Qual mai favella?
Che insulto a me voi fate?

CORO (a Clarice)
Prima eravate in sella,
or vi trovate appiè.

CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO E MACROBIO
Men tremendo che tempesta
questo colpo a me non par.
Sin le chiome sulla testa
io mi sento a sollevar.

CLARICE, BARONESSA, CONTE, GIOCONDO, MACROBIO E CORO
Così allor che all'onde in faccia
freme il vento e il fulmin romba,
strana tema i sensi agghiaccia
dell'intrepido nocchier.



Sonia Prina (Clarice), José Manuel Zapata (Giocondo),
Joan Martin-Royo (Macrobio), François Lis (Conte), Jennifer Holloway (Baronessa)


Marie-Ange Todorovich (Clarice), Raul Giménez (Giocondo),
Pietro Spagnoli (Macrobio), Marco Vinco (Conte), Laura Brioli (Baronessa)



Il brano originale ("Speme soave, ah, scenda") da "L'equivoco stravagante"

10 gennaio 2015

16. Recitativo e aria: "Quell'alme pupille"

Scritto da Christian

Il temporale scoppiato all'improvviso ha separato i vari cacciatori. Ora la calma è tornata, in un'atmosfera quasi pastorale; ma il cavalier Giocondo, rimasto solo, si rode all'idea che Clarice, la donna che ama non ricambiato, possa aver trovato conforto nella compagnia del Conte Asdrubale ("La mia tiranna io mi figuro / in braccio all'amico rival"). Il tenore intona qui un'aria in cui mette a nudo il proprio animo tormentato e diviso fra l'amore per Clarice e l'amicizia per il Conte. Il brano è bello, melodico e ispirato (anche se forse non rappresenta un esempio significativo delle partiture per tenore di Rossini): ma essendo "La pietra del paragone" pur sempre un'opera buffa, c'è il sospetto che Romanelli e il compositore pesarese si prendano gioco, attraverso Giocondo, di un certo tipo di personaggio dell'opera seria, l'innamorato romantico che si strugge per un sospiro o uno sguardo della persona amata.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO
Oh, come il fosco impetuoso nembo ci separò!
Clarice, il Conte invano chiamai sovente,
e più l'altrui mi calse, che il mio periglio...
Or tutto è calmo,
e solo regna nel petto mio tempesta eterna.
La mia tiranna io mi figuro in braccio all'amico rival...
sparsa le chiome... pallida... ansante...
e lui veder mi sembra, che al sen la stringe...
la conforta... e pasce l'avido ciglio in quella,
fatta dal pianto e dal timor più bella.

Clicca qui per il testo del brano.

GIOCONDO
Quell'alme pupille
io serbo nel seno:
ma un guardo sereno
non hanno per me.
Deh! amor, se merita
da te mercede
la sempre candida
mia lunga fede,
fa' ch'io dimentichi
sì gran beltà.
Tu fosti origine
del mio dolor:
tu l'opra barbara
correggi, amor.



José Manuel Zapata


Raul Giménez


Ugo Benelli


Juan Diego Flórez


Josè Carreras


Alessandro Codeluppi


William Matteuzzi

Luca Canonici


Ugo Benelli (dal film "Lo sceicco d'Arabia")

7 gennaio 2015

15. Il temporale

Scritto da Christian

Pacuvio, intento nella sua battuta di caccia, è sorpreso da un improvviso temporale. Già i primi "strepiti" di vento lo pongono in inquietudine: il successivo scrocio di pioggia lo spinge alla fuga. La descrizione fornita dal libretto di Romanelli è assai evocativa:

Mentre il vento va crescendo appoco appoco, ed oscurandosi lentamente il bosco, risuonano da lontano alcuni colpi di fucile, e successivamente compariscono diversi uccellacci coll'ale aperte. Pacuvio mira or all'uno, or all'altro senza mai sparare: si accorge poi che non ha montato il fucile; nell'atto che lo monta, gli uccelli spariscono, a riserva d'uno, contro cui egli si dirige senza mai effettuare il colpo. Finalmente, correndogli dietro e tirandogli il cappello, si perde di vista. Scoppia il temporale; si oscura totalmente il bosco, agitato dal vento e illuminato dai frequenti lampi. Comparisce di bel nuovo Pacuvio spaventato, stringendosi al petto e coprendo per quanto può alcuni fogli. Fugge Pacuvio incerto e sbalordito, e al temporale succede intanto gradatamente la calma.
Terminata la burrasca, torna infatti la quiete. E la melodia si stempera nel finale, traslandoci nella scena successiva e facendo da prologo all'aria romantica di Giocondo, "Quell'alme pupille".

Clicca qui per il testo.

PACUVIO (verso i cacciatori)
Sì, sì, ci parleremo:
con un figlio di Pindo e d'Elicona,
quando tira davver, non si canzona.

(si ascolta qualche strepito di vento, foriero del temporale)

PACUVIO
Ahi!... chi si muove?... io non vorrei...
ma questo par che un bosco non sia da bestie indomite.

(Mentre il vento va crescendo appoco appoco, ed oscurandosi lentamente il bosco, risuonano da lontano alcuni colpi di fucile, e successivamente compariscono diversi uccellacci coll'ale aperte. Pacuvio mira or all'uno, or all'altro senza mai sparare: si accorge poi che non ha montato il fucile; nell'atto che lo monta, gli uccelli spariscono, a riserva d'uno, contro cui egli si dirige senza mai effettuare il colpo. Finalmente, correndogli dietro e tirandogli il cappello, si perde di vista. Scoppia il temporale; si oscura totalmente il bosco, agitato dal vento e illuminato dai frequenti lampi. Comparisce di bel nuovo Pacuvio spaventato, stringendosi al petto e coprendo per quanto può alcuni fogli. Fugge Pacuvio incerto e sbalordito, e al temporale succede intanto gradatamente la calma.)

PACUVIO
Ahi!... Scappa... Scappa...
Il vento in aria mi ha portato il fucile...
Aiuto!... Ah! Gli scritti miei...
Soccorso!... Dove salvar me stesso?...
[Deh! fulmine canoro,
rispetta, se non altro, il sacro alloro.]
(fuggendo)



Christian Senn (Pacuvio), dir: Jean-Christophe Spinosi


Paolo Bordogna (Pacuvio), dir: Alberto Zedda

Il tema sinfonico del temporale sarà riutilizzato in seguito da Rossini per "L'occasione fa il ladro", e soprattutto quattro anni dopo, con diverse modifiche e senza più alcun testo, nella sua opera più celebre, ovvero "Il barbiere di Siviglia".

4 gennaio 2015

14. Coro: "A caccia, o mio signore!"

Scritto da Christian

Il Conte ha accettato le scuse di Macrobio e Pacuvio (anche perché "io co' buffoni mi diverto", confessa all'amico Giocondo): a questo punto, l'incidente sarebbe chiuso... ma non per Aspasia e Fulvia, che esigono che i loro due "cavalier serventi" vendichino il proprio onore ferito, sfidando a duello il Conte o Giocondo. Naturalmente il giornalista e il poeta, più per vigliaccheria che per altro, non hanno alcuna intenzione di esaudirle: se Macrobio si limita a prendere tempo (fingendo che chiedere perdono al posto di battersi sia "una moda novissima, venuta dalla Cina": già allora all'estremo oriente, con la scusa della distanza, si attribuivano le cose più strane!), Pacuvio addirittura mente alla sua dama, affermando di averlo già fatto ("La scusa è finta: / il duello seguì: la vita in dono / [Giocondo] mi domandò con le ginocchia a terra"), e naturalmente chiedendo alla donna di mantenere l'assoluto segreto (per paura che la notizia giunga all'orecchio dello stesso Giocondo!).

L'ingenua Fulvia crede alle parole di Pacuvio, ma ovviamente non può tenersi la notizia per sé: per vantarsi, la rivela alla Baronessa Aspasia, che di conseguenza se la prende con Macrobio, reo di non aver sfidato a sua volta il Conte a duello. Il giornalista promette che adempirà, ma intanto, pur con qualche dubbio ("Quando mai Pacuvio disse una verità?"), medita di pubblicare quanto prima la notizia della sconfitta di Giocondo.

Nel frattempo, tutti gli ospiti della tenuta si apprestano a dilettarsi con una battuta di caccia: fra questi c'è Pacuvio, che per una volta ha deciso di provare a cimentarsi nell'arte venatoria. Data la sua incapacità, viene preso bonariamente in giro dagli altri cacciatori in un coro che Rossini ha ripreso pari pari da un'altra sua opera, "L'equivoco stravagante" (il riciclo di altri brani sarà un po' una costante di questo secondo atto, sicuramente meno originale del primo, indice forse della fretta con cui il compositore pesarese dovette terminare il lavoro in tempo per la "prima").


Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO (al Conte)
Eppur ciascun di loro alla sua dama
avea promesso di sfidarci.

CONTE
E invece si son scusati.

GIOCONDO
Oh, che vigliacchi!

BARONESSA (a Macrobio)
Oh bella!
vuoi cimentarlo, e gli domandi scusa?

MACROBIO
Certo.

BARONESSA
Fra noi non s'usa...

MACROBIO
È una moda novissima, venuta dalla Cina,
che quanto prima
pubblicherò sul mio giornale.

PACUVIO (a donna Fulvia)
Insomma, lo volete saper? la scusa è finta:
il duello seguì: la vita in dono
mi domandò con le ginocchia a terra.

FULVIA (a Pacuvio con sorpresa)
Chi?

PACUVIO
Giocondo; ma zitto.

FULVIA (a voce alta in atto di volerlo palesare)
Anzi...

PACUVIO (a donna Fulvia, opponendosi)
No; zitto: giacché per suo decoro
di non farne parola ei m'ha pregato:
ed io gliel'ho promesso, anzi giurato.

GIOCONDO (al Conte, osservando gli uni e gli altri)
Gran contrasto han fra loro.

CONTE (a Giocondo)
Io co' buffoni mi diverto.

GIOCONDO
Io m'annoio.

BARONESSA (a Macrobio)
Ebben?...

MACROBIO (alla Baronessa)
Senz'altro la disfida io farò.

PACUVIO (a donna Fulvia)
L'avrei potuto come un tordo infilzar;
ma troppo io sono tenero per natura e sensuale.

FULVIA (a Pacuvio)
S'è così, son contenta.

PACUVIO
È tal e quale.

CONTE
Nel vicin bosco, amici, a divertirci andiamo.

MACROBIO
Il moto giova all'appetito.

GIOCONDO
I cacciatori, io credo, partiranno a momenti.

CONTE
(ad un domestico)
Ehi, vanne tosto la marchesina ad avvertir.
(a tutti)
Se poi volesse alcun di voi dar prova di bravura,
prenda il fucil.

PACUVIO
Voglio provarmi.
(parte in fretta)

FULVIA
In casa per alcune faccende io resterò.

CONTE
Come vi aggrada. Andiamo.
(parte col cavalier Giocondo)

FULVIA
Baronessa, ascoltate.
(le parla all'orecchio)

BARONESSA
Possibile?

FULVIA (partendo con brio)
Senz'altro. Addio.

BARONESSA (a Macrobio)
Che intesi! Per vostro e mio rossor,
già donna Fulvia è vendicata, ed io...

MACROBIO
Che dite?

BARONESSA
Or sappi, che vinto il cavalier
la vita in dono da Pacuvio impetrò.

MACROBIO
Bu, bu... che bomba!

BARONESSA
Pacuvio il disse.

MACROBIO
E quando mai Pacuvio disse una verità?

BARONESSA
Pretesti a parte...

MACROBIO
Io pretesti? Stupisco.

BARONESSA
O sfida il Conte,
o non sperar ch'io più ti guardi in faccia.
L'esige l'onor mio.

MACROBIO
Dopo la caccia.

Clicca qui per il testo del brano.

CORO (a Pacuvio)
A caccia, o mio signore,
poeta eccellentissimo:
se siete cacciatore,
tirate, e si vedrà.
(Pacuvio appoggia sgarbatamente il fucile ora alla spalla sinistra, ora alla destra)
Ma bravo!... anzi bravissimo!
Gran preda si farà.
Gli uccelli andranno al diavolo
in piena sanità.



dir: Jean-Christophe Spinosi


dir: Alberto Zedda


Qui sotto "Allegri, compagnoni", la prima versione del coro, composta per l'opera "L'equivoco stravagante".


dir: Bruno Rigacci

1 gennaio 2015

13. Introduzione II: "Io del credito in sostanza"

Scritto da Christian

Potrebbe sembrare che il primo atto della "Pietra del paragone" abbia già esaurito l'intera opera. Il Conte Asdrubale ha ormai giocato il suo scherzo agli ospiti della villa, ha messo alla prova la loro fedeltà e ha scoperto che, fra tutti, sono in pochi quelli a essergli davvero amici (ossia il Cavalier Giocondo e la Marchesa Clarice). Eppure non è finita: nonostante abbia ormai la certezza dell'indole sincera della Marchesa, infatti, ancora non si decide a prenderla in moglie ("Il matrimonio è un passo grande", spiegherà). Per fargli cambiare idea, in questo secondo atto la situazione si capovolgerà e sarà Clarice a rendergli pan per focaccia, travestendosi a sua volta allo scopo di fargli capire quanto veramente la ami.

Il sipario si alza con la notizia che il "mercante turco" è ripartito per i suoi lidi ("Lo stranier con le pive nel sacco / per vergogna è partito in gran fretta"). Donna Fulvia e la Baronessa Aspasia rimuginano sulla brutta figura che hanno fatto, ma anziché prendersela con sé stesse dirigono il proprio rancore verso il Conte, Giocondo e Clarice, meditando vendetta. Inutilmente il Coro dei servitori e degli altri ospiti tenta di farle ragionare: "Via, che serve? Son cose del mondo".

Segue un divertente concertato ("Io del credito in sostanza") in cui i pavidi Macrobio e Pacuvio presentano le loro scuse al Conte e a Giocondo, suscitando l'ira di Aspasia e Fulvia. Nel brano, le parole dei sei personaggi (più il Coro) si intrecciano in una sorta di canone o fuga a più voci, arricchito dal libretto di Romanelli che gioca con le rime e con i versi, terminanti tutti in -anza e in -enza.

Clicca qui per il testo del brano.

CORO
Lo stranier con le pive nel sacco
per vergogna è partito in gran fretta.

BARONESSA E FULVIA
Per sua colpa ho sofferto uno smacco,
ma farò la mia giusta vendetta:
forse al Conte, a Clarice, a Giocondo
questo fatto avrà molto a costar.

CORO
Via, che serve? son cose del mondo:
non sarebbe che un farsi burlar.

MACROBIO (al Conte in atto di scusa)
Io del credito in sostanza
già vedea l'incompetenza:
né parlai per insolenza,
ma per voglia di scherzar.

CONTE
Io già so per vecchia usanza
coltivar l'indifferenza:
ogni scusa in conseguenza
voi potete risparmiar.

PACUVIO (a Giocondo, scusandosi)
Fu poetica licenza,
non lo feci per baldanza:
in drammatica sembianza
mi parea di recitar.

GIOCONDO
Fu solenne impertinenza;
ma non merita importanza:
già vi scusa l'ignoranza
senza starne più a parlar.

BARONESSA E FULVIA (ciascuna da sé, la Baronessa osservando Macrobio e Donna Fulvia Pacuvio)
Domandargli perdonanza
è una vera sconvenienza:
questa vil testimonianza
io non posso tollerar.

CORO
Sotto l'umile apparenza
pieni son di petulanza:
l'uno e l'altro all'occorrenza
tornerebbe a motteggiar.



Jennifer Holloway, Laura Giordano, Joan Martin-Royo, François Lis, Christian Senn, José Manuel Zapata


Laura Brioli, Patrizia Biccirè, Pietro Spagnoli, Marco Vinco, Paolo Bordogna, Raul Giménez


Antonella Pianezzola, Daniela Dessì, Claudio Desderi, Justino Diaz, Alessandro Corbelli, Ugo Benelli