21 ottobre 2013

Don Giovanni (1) - Introduzione

Scritto da Christian

Il dissoluto punito, ossia il Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart (K. 527)

Prima rappresentazione: Praga (Teatro degli Stati),
29 ottobre 1787

Personaggi e voci:
Don Giovanni (baritono o basso), cavaliere licenzioso
Leporello (basso-baritono), servitore di Don Giovanni
Il Commendatore (basso profondo), padre di Donna Anna
Donna Anna (soprano), promessa sposa di Don Ottavio
Don Ottavio (tenore), promesso sposo di Donna Anna
Donna Elvira (soprano), dama di Burgos
Masetto (baritono o basso), contadino, promesso sposo di Zerlina
Zerlina (mezzosoprano o soprano), contadina, promessa sposa di Masetto
Contadine e contadini, servi, suonatori e coro di sotterra (coro)


Il secondo frutto della collaborazione fra Wolfgang Amadeus Mozart e il librettista Lorenzo Da Ponte (dopo "Le nozze di Figaro", e prima di "Così fan tutte") è considerato non solo uno dei massimi capolavori dello stesso Mozart, ma una delle opere più importanti della storia della musica e dell'intera cultura occidentale. A dimostrazione di ciò, la sua popolarità non è mai svanita nel corso dei secoli: l'opera anzi ha continuato a godere di grande favore, stimolando l'interesse e l'attenzione di artisti e intellettuali anche nell'Ottocento, periodo in cui gli altri lavori di Mozart erano spariti gradualmente dalle scene per essere poi riscoperti nel corso del ventesimo secolo. Basti citare Gustave Flaubert ("Le tre cose più belle che Dio abbia fatto sono il mare, l'Amleto e il Don Giovanni di Mozart") e Charles Gounod ("Il Don Giovanni è un lavoro senza macchia, di ininterrotta perfezione", citato da Søren Kierkegaard). Fra i maggiori ammiratori dell'opera ci fu anche Pëtr Il'ic Cajkovskij, che trovandosi davanti al manoscritto originale di Mozart affermò di sentirsi "in presenza della divinità". Di fatto mai uscita dal repertorio, è ancora oggi una delle opere più rappresentate nei teatri di tutto il mondo.

L'opera fu commissionata a Mozart da Pasquale Bondini e Domenico Guardasoni, impresari del Teatro Nazionale di Praga, e infatti andò in scena per la prima volta nella città boema e non a Vienna (come era avvenuto invece per "Le nozze di Figaro", che pure a Praga aveva riscosso uno straordinario successo). L'idea di ispirarsi al personaggio di Don Juan, il leggendario libertino che dedica la propria vita a sedurre le donne ("democraticamente" senza distinguere fra belle e brutte, giovani e vecchie) e sfida con irriverenza anche il giudizio divino, fu probabilmente di Da Ponte, che quasi sicuramente aveva assistito a una rappresentazione del "Don Giovanni Tenorio" di Giuseppe Gazzaniga, con libretto di Giovanni Bertati (autore anche del "Matrimonio segreto" di Cimarosa), andato in scena a Venezia all'inizio di quello stesso anno. Nel film "Io, Don Giovanni" di Carlos Saura (2009), si immagina addirittura che sia stato Giacomo Casanova (anch'egli presente alla prima dell'opera di Gazzaniga) a suggerire all'amico Da Ponte di scrivere un nuovo libretto su questo tema. Se il testo di Bertati rappresenta un evidente e indiscutibile punto di partenza, il librettista prese però ispirazione anche da altri antecedenti letterari. La storia del mitico seduttore era infatti già stata narrata sotto numerose forme nei secoli precedenti (pur senza mai raggiungere le vette artistiche dell'opera mozartiana): la prima versione scritta, ambientata nel Quattrocento, è il dramma teatrale "El burlador de Sevilla y convidado de piedra" di Tirso De Molina (pubblicato nel 1630, ma rappresentato già nel 1616), caratterizzato – cito da Wikipedia – da "atmosfere cupe e intrise di un religioso senso di colpa". Seguono poi, fra le altre, la commedia di Molière "Dom Juan ou le Festin de pierre" (1665) e quella di Carlo Goldoni "Don Giovanni Tenorio ossia Il dissoluto" (1736).

Da notare che lo stesso Lorenzo Da Ponte aveva fama di libertino, e questo spiega in parte la simpatia con cui lui e Mozart hanno dipinto il personaggio. Soprattutto il finale in cui Don Giovanni rifiuta di pentirsi, la sua ostinazione nel non piegarsi alla morale e alla condanna della società, la sua ribellione contro Dio e il suo anelito verso la libertà e l'autodeterminazione, non potevano non affascinare profondamente gli intellettuali e gli artisti dell'Ottocento, il secolo dei moti rivoluzionari e del romanticismo, che videro in lui una sorta di "eroe del libero pensiero moderno". Negli anni seguenti, infatti, il personaggio sarà argomento di dissertazione filosofiche e di ulteriori rivisitazioni artistiche, una tendenza che continua ancora ai giorni nostri. In particolare sarà ripreso da Byron (il poema epico "Don Juan", del 1821), da José de Espronceda (il poema "El estudiante de Salamanca", del 1840) e da José Zorrilla (la commedia "Don Juan Tenorio" del 1844, tuttora rappresentata ogni anno il 2 novembre nel mondo ispanico, che si distingue per il finale in cui Don Juan si redime ed è perdonato). Lo stesso capolavoro mozartiano ha ispirato direttamente a sua volta, fra gli altri, E. T. A. Hoffmann, Alexander Puškin, Søren Kierkegaard, George Bernard Shaw e Albert Camus.

Se infatti, a livello di trama, l'opera di Mozart e Da Ponte non si discosta sensibilmente da altre versioni della storia, in realtà essa va ben oltre la semplice "parabola religiosa" (come erano i drammi di Tirso de Molina o di Zorrilla), con tante e tali chiavi di lettura da consentire persino ad alcune rappresentazioni moderne (come quella allestita alla Scala nel 2011 con la regia di Robert Carsen) di "capovolgere" il messaggio finale e di far risultare vincitore proprio Don Giovanni, che si fa beffe dei "moralizzatori" che avrebbero voluto vederlo finire all'inferno (ne riparleremo magari più avanti, quando ci concentreremo sul sestetto finale che conclude l'opera, che significativamente Mozart eliminò in occasione dell'allestimento viennese e che di conseguenza veniva regolarmente omesso fino a metà del ventesimo secolo).

La stessa definizione di "dramma giocoso" è dunque solo apparentemente un ossimoro. Si tratta in realtà di un'etichetta caratteristica di molti lavori dell'epoca, un termine che denota una commistione di azione seria (i temi soprannaturali, che irrompono improvvisamente e prepotentemente nel finale; l'ombra della morte, che invece aleggia sin dall'inizio) e comica (gli argomenti "frivoli" e amorosi; le situazioni e le scenette tipiche della commedia, come i battibecchi fra padrone e servo, con tanto di scambio d'abiti). Mozart, nel proprio catalogo personale, indicò il "Don Giovanni" come "opera buffa", seguendo la tradizionale distinzione delle opere italiane in "serie" (solitamente di argomento storico o mitologico, e con partiture solenni e austere) e "buffe" (più vivaci e di ambientazione contemporanea). In realtà, la grandezza dell'opera deriva anche dal suo far ricorso di continuo a registri differenti, dal mescolare melodramma e commedia, dal far interagire personaggi "buffi" o di bassa estrazione (Leporello, Masetto, Zerlina) con altri "seri" o nobilmente elevati (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio), proprio come era stato per "Le nozze di Figaro".

La caratterizzazione psicologica dei personaggi è il vero capolavoro di Mozart e Da Ponte: Don Giovanni, pur essendo nobile, veste quasi il ruolo del tipico basso buffo settecentesco (vocalmente, un baritono o un basso-baritono), quasi a sottolineare l'immoralità del suo comportamento che, per così dire, lo "abbassa" di livello. Leporello (anche lui un basso ai limiti del buffo, la cui estensione va da un "Fa grave" fino al "Mi acuto") è invece un personaggio frequentemente in bilico tra l'ironia, l'insolenza e la sottomissione nei confronti del padron Don Giovanni. Sono presenti figure comiche o dal contorno quasi bucolico (i contadini Masetto e Zerlina) ma c'è tra queste e le figure drammatiche una forte commistione che fa prevalere le seconde, portatrici di forti valori morali ed etici da trasmettere al pubblico. In particolare, in contrasto alle figure semplici ma eticamente forti, all'ascoltatore moderno non può non risultare ridicola la affettata serietà di Don Ottavio (tenore), definito da qualche critico il "fidanzato modello": mentre Masetto per difendere la sua Zerlina è disposto anche a prendersi botte da Don Giovanni (travestito in quell'occasione da Leporello), Don Ottavio per la sua Donna Anna non riesce a reagire se non con un timido «un ricorso vo' far a chi si deve, e in pochi istanti vendicarvi prometto» cosa che in realtà, non farà mai. Tuttavia, né Mozart, né Da Ponte sicuramente ebbero l'intenzione (almeno esplicita) di mettere in ridicolo Don Ottavio, dando invece al suo ruolo una musica smagliante e un tono magniloquente, da opera seria (ricordiamo a conferma di ciò che il primo Don Ottavio, Antonio Baglioni, fu anche il primo interprete di Tito nella "Clemenza di Tito"). A questo proposito è da segnalare il magnifico duetto del primo atto (Don Ottavio e Donna Anna), "Fuggi, crudele, fuggi", che potrebbe essere il gioiello di un'opera seria, il duetto fra un Cesare e una Cleopatra, o fra un Alessandro e una Candace.
(da Wikipedia)
Resta comunque il mistero di un'opera il cui protagonista è un personaggio "negativo", che da capo a fondo compie azioni che non soltanto appaiono ma ci vengono anche presentate come riprovevoli, e al quale tuttavia la musica conferisce un'aura irresistibile, come d'un "eroe positivo". Questa duplicità, o forse addirittura molteplicità, si riflette anche nella problematica definizione del genere al quale far appartenere l'opera. [...] Ufficialmente è un "dramma giocoso" in due atti, ossia un'opera buffa. [...] Ma posto che il Don Giovanni sia, come in parte è, un'opera di carattere buffo, come intendere l'evidente salto di livello dell'apparizione soprannaturale della statua e ciò che ne consegue, ovvero la dannazione eterna di Don Giovanni? [...] Il paradosso di un'opera buffa che sconfina nel tragico, e di un tragico (anche nell'accezione più moderna di ironia tragica) che continuamente assorbe e rilancia gli elementi buffi, cessa di essere un paradosso qualora si accetti come data non soltanto la coesistenza dei generi serio e comico ma anche la loro fusione in un'entità superiore in dinamica trasformazione: come se i due aspetti svelassero i volti di una medesima realtà, e l'uno fosse lo specchio dell'altro, senza reciprocamente confondersi o annullarsi. Questa coesistenza di livelli che ora diviene fusione, ora si mantiene distinta, è la vera natura dell'opera e trova in essa molteplici rispondenze immanenti e trasversali.
(Sergio Sablich)
La lavorazione occupò Mozart dal marzo all'ottobre del 1787. L'opera avrebbe dovuto essere rappresentata il 14 ottobre 1787, in occasione della visita a Praga del principe Antonio di Sassonia e dell’arciduchessa Maria Teresa, ma gli autori non riuscirono a terminarla in tempo, e così quel giorno venne sostituita con un allestimento delle Nozze di Figaro. La "prima" ebbe poi luogo il 29 ottobre 1787. Leggendario, ma veritiero (almeno a giudicare dall'autografo del compositore) è l'aneddoto secondo il quale il genio salisburghese completò la partitura soltanto il giorno precedente alla prima rappresentazione (o, secondo alcuni fonti, addirittura il giorno stesso). L'organico orchestrale prevede l'utilizzo di due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, tre tromboni (che accompagnano il canto della statua del Commendatore), i timpani, gli archi, più il basso continuo nei recitativi secchi (clavicembalo o fortepiano). Inoltre si richiede un mandolino per accompagnare la serenata di Don Giovanni nel secondo atto, e soprattutto, in diverse scene, la presenza di alcuni suonatori direttamente sul palco (vera e propria musica "diegetica"!): nel finale del primo atto, durante la festa a casa di Don Giovanni, ci sono addirittura tre orchestrine che suonano contemporaneamente tre diversi tipi di danza, ciascuna con la propria metrica; nel finale del secondo atto, invece, un'altra orchestra da camera suona brani operistici (compresa un'aria proveniente da "Le nozze di Figaro" dello stesso Mozart) per accompagnare la cena del protagonista.

A Praga l'accoglienza fu ottima, come capitava spesso ai lavori di Mozart eseguiti nella città boema. Lo testimonia una lettera scritta dal compositore subito dopo la "prima", in cui dice che "l'opera è andata in scena con il successo più clamoroso possibile", nonché una missiva inviata dall'impresario Guardasoni a Da Ponte (che era rimasto a Vienna, impegnato nella stesura di altri libretti): "Evviva Da Ponte! Evviva Mozart! Tutti gli impresari, tutti i virtuosi devono benedirli! Finché essi vivranno, non si saprà mai cosa sia la miseria teatrale". La quarta rappresentazione, il 3 novembre, fu addirittura organizzata con incasso "a beneficio del compositore", mentre da più voci si insisteva affinché Mozart si trattenesse a Praga per scrivere una nuova opera.

Per l'esordio a Vienna, il 7 maggio dell'anno successivo, Mozart apportò diverse modifiche. In particolare scrisse due nuove arie ("Dalla sua pace" per Don Ottavio, e "Mi tradì quell'alma ingrata", per Donna Elvira) e un duetto ("Per queste tue manine", per Leporello e Zerlina, che a differenza delle due arie succitate non è mai entrato nell'uso recitativo). Ma soprattutto, come già detto, eliminò il concertato finale, facendo concludere l'opera direttamente con la scena in cui Don Giovanni sprofonda all'inferno (di questo particolare si è tenuto conto nel film "Amadeus" di Miloš Forman, in cui si vede Salieri assistere a una rappresentazione viennese che termina proprio in questo modo). Oggi, invece, il sestetto con la "morale" è tornato a far parte in pianta stabile degli allestimenti.

Se prima abbiamo ricordato il successo che il testo del "Don Giovanni" avrà negli anni seguenti presso filosofi e scrittori (ai già citati aggiungiamo Goethe, secondo il quale nessun'altra opera in musica ne avrebbe mai più raggiunto l'altezza), non minore sarà il favore che godrà dal punto di vista prettamente musicale. Molti importanti compositori ne saranno affascinati e vi si ispireranno per i proprio lavori: da Franz Liszt (autore di una "fantasia operistica", "Réminiscences de Don Juan", e di una "Fantasia su temi de Le Nozze di Figaro e del Don Giovanni") a Ludwig Van Beethoven (oltre a comporre variazioni su diversi temi dell'opera, si ispirò alle terzine della scena della morte del Commendatore per il primo movimento della sonata "Al chiaro di luna"), da Chopin (variazioni per piano e orchestra su "Là ci darem la mano") a Thalberg, da Offenbach (ne "I racconti di Hoffmann" Nicklausse cita il Don Giovanni e allude all'aria introduttiva di Leporello) a Rossini (il coro che introduce l'ingresso di Selim ne "Il turco in Italia" richiama ironicamente la musica del Commendatore).


Alcune delle incisioni più celebri:















Link utili:

Articolo su Wikipedia in inglese
Articolo su Wikipedia in italiano
Sinossi e commenti di A. Batisti e S. Sablich
Libretto completo
Partitura