17 dicembre 2010

Turandot (19) - Una lettura intrapsichica/1

Scritto da Marisa

Abbiamo visto come la vicenda di Calaf e Turandot si possa leggere come emblematica storia di due personaggi che partono da situazioni critiche gravemente carenti (all'uomo manca una patria e un ruolo e alla donna manca la capacità d'amare) ma che, grazie all'intelligente generosità del principe che sblocca la situazione, ottengono insieme all'amore un rinnovamento del regno. Si supera il vecchio principio patriarcale della divisione dei ruoli – che vede nel maschile il detentore del potere e della supremazia mantenendo la donna in un costante ruolo subalterno di supporto affettivo – instaurando un nuovo e più equilibrato rapporto di coppia, soddisfacente per entrambi.
Inoltre si può leggere l'intera vicenda in modo più allargato e includervi tutta la storia del passaggio violento dal matriarcato al patriarcato, con le tragiche conseguenze di progressivo irrigidimento della coscienza su un atteggiamento di "lotta, vittoria, conquista, sopraffazione" e un inevitabile rancore che piano piano aumenta fino a diventare opposizione altrettanto violenta, vendicativa e distruttiva. Lungi dal tornare indietro alla fase matriarcale, la fiaba indica una soluzione di autentica ricomposizione del conflitto instaurando un nuovo modello di rispetto reciproco e di armonia.
Questo discorso vale anche per la violenza perpetrata sulla natura e ci indica, se non vogliamo subirne le vedette di inaridimento progressivo e sterilità che ci stanno minacciando, la strada per un recupero ponendoci "sotto" la natura in modo intelligente e amorevole e non continuando a sfruttarla con arrogante egoismo.
Ma una fiaba si può e si deve leggere anche a livello intrapsichico, tenendo cioè presente l'individuo e i suoi conflitti interni, come se tutta la vicenda riguardasse un solo personaggio e la fiaba fosse una specie di drammatizzazione del suo problema; un vero e proprio sogno da interpretare.

Prendiamo in considerazione prima la vicenda dalla parte dell'uomo, simbolicamente rappresentato da Calaf. Si può ipotizzare la vicenda di un giovane (ma l'età è relativa, perché certi passaggi possono avvenire in qualsiasi momento, anche se sarebbe meglio affrontarli nella prima metà della vita) che si trovi in una situazione di grande smarrimento e disorientamento perchè ha perso tutto quello che fino ad ora gli dava sicurezza e protezione (il regno come organizzazione della coscienza, luogo certo dove aveva un ruolo di prestigio e di rispecchiamento positivo). Ci possono essere motivi esterni perchè ciò sia avvenuto (un fallimento dell'azienda del padre su cui contava, una malattia, una crisi per cui perde prospettive di lavoro, ecc.), ma ciò che conta è la risonanza interna e il sentore di una crisi personale: la perdita di un vecchio orientamento, dell'illusione giovanile che possa bastare essere bravi e buoni per inserirsi con successo nella società e nel mondo del lavoro, la scoperta del fallimento dei padri (come nel '68), e così via. Anche se la crisi viene innestata da motivi esterni, perché parta una ricerca ci deve sempre essere un minimo di consapevolezza che ogni evento ci riguarda in pieno e che attiva ed esige un nostro totale coinvolgimento e una nostra responsabilità. In ogni caso arriva il momento in cui il figlio, crescendo, si accorge che il padre non rappresenta più il Re, l'incarnazione cioè dell'autorità e della saggezza; lo vede improvvisamente vecchio e depotenziato, non può più prenderlo a modello e guida, e, pur amandolo, deve staccarsi da lui e seguire altre strade, deve girovagare alla ricerca di qualcosa di nuovo e di diverso...

E cosa avviene con la madre? In questa fiaba apparentemente c'è una grossa lacuna: mancano le madri. Ci sono due donne importanti, Liù e Turandot, ma non ci sono le madri. Come può essere e cosa può voler dire per un giovane, visto che stiamo prendendo in considerazione un lui e per ogni figlio la prima rappresentante del femminile e quindi dell'Anima è la madre?
Evidentemente la madre è morta. Qui si dà per scontato, ma nella fiaba di Carlo Gozzi è detto esplicitamente che la vecchia regina, moglie di Timur, non ha retto ai disagi dell'esilio e al dolore della presunta perdita del figlio, ed è morta. Spesso nelle fiabe assistiamo al motivo della morte della madre (Biancaneve, Cenerentola...) e a volte il suo posto viene preso da una matrigna cattiva. Più precoce è l'avvenimento, maggiori sono i danni, passando dalla madre idealizzata come fata alla strega, perché la coscienza del bambino non ha potuto ancora riunire le due immagini, passando attraverso la fase depressiva della consapevolezza che si tratta dei due aspetti della stessa madre.
Qui la madre "strega" non compare mai, perché sembra si sia trattato di una madre solo "buona", a pieno servizio della famiglia, del marito e del figlio, dei "suoi uomini" insomma.
Il figlio non conosce altro aspetto del femminile e, nella crisi, di colpo si accorge che la madre tanto amata è solo un riflesso del padre, non ha un suo vero centro autonomo in quanto vive solo come custode di quei valori patriarcali da cui è anche protetta e quindi non è portatrice di "altro", di un vero punto di vista lucido e intelligente. Quindi per lui è come morta, ma è l'unico tipo di donna che conosce e che gli viene riproposto nella variante della "brava ragazza" che basa la sua vita sull'accudimento e la dedizione (Liù), che apprezza ma di cui non può innamorarsi. Manca qualcosa che lui non conosce ma che la sua anima presagisce e a cui anela. A questo punto il disorientamento e la disperazione possono essere grandi.

Grazie comunque all'amore ricevuto, il giovane ha un buon sentimento; è sempre stato un “bravo ragazzo”, ma ora si accorge di avere anche una grande rabbia, qualcosa di vendicativo e distruttivo che si oppone a ogni soluzione di buon senso, perché ha un'oscura ma intuitiva sensazione di essere stato in qualche modo ingannato e deviato da uno sviluppo più completo, di aver subito quasi un'antica violenza. Sente il fascino di una parte nuova e sconosciuta, un "totalmente altro" dagli aspetti rassicuranti del pensiero comune e ordinato della famiglia patriarcale, un bisogno di conoscenza e una curiosità per l'oscuro e il diverso che lo spinge irresistibilmente a interrogarsi sui temi fondamentali della vita e su sé stesso. Può darsi che vada in analisi, o comunque che cerchi di mettersi in contatto con i suoi sogni e i suoi "enigmi" alla ricerca di quella parte di sé che era stata ferita perché non rispettata e riconosciuta nella sua autonomia, e comincia quindi un serrato dialogo e confronto con l'inconscio, attraverso le sue immagini. Simbolicamente siamo nel momento cruciale della lotta col Drago, passaggio fondamentale attraverso cui si libera dal complesso materno una propria parte femminile (l'Anima), autonoma e diversa da quella impersonata ma anche imprigionata fino ad ora dalla madre. Turandot rappresenta tutto questo: un femminile interno totalmente altro da conquistare, Drago e Principessa nello stesso tempo, portatrice del pericolo e del fascino per accedere alla nuova situazione.
Se le cose vanno bene (tanti ci hanno provato e si sono persi, come i principi che ci hanno rimesso la testa...) l'uomo scopre che tutto l'impegno d'intelligenza non basta. Dopo aver capito i problemi posti dalla propria Anima trascurata e arrabbiata (gli enigmi da risolvere), bisogna fare un atto di fede e sottomissione, lasciando ad essa il tempo di riconciliarsi e di tornare ad amare, affinché il recupero e l'integrazione siano possibili. Solo allora, dopo un lungo colloquio interno, quando l'Io ha perso la sua arroganza ed è pronto a riconoscere ai valori dell'Anima la vera autonomia, emerge l'uomo nuovo, sensibile e intelligentemente propositivo, non più infantilmente legato ai genitori, con un nuovo centro e quindi un nuovo "regno". Ricongiunto alla propria “principessa interna”, è ora pronto ad affrontare la vita e la relazione con la donna adulta alla pari, con una completezza e una forza rinnovata.
La riunione con la propria parte psichica controsessuale era anche la meta finale del processo alchemico nel Rosarium Philosophorum, in cui, dopo le vicende di morte e rinascita della coppia regale, col ritorno della luce vediamo l'apparizione del Rebis, l'immagine vittoriosa dei due ormai fusi in un unico essere, a significare l'unità interiore ritrovata e l'integrazione della personalità.